mercoledì 24 agosto 2011

Woody Allen, release 0.1

"Rispetto alla durezza del mondo reale il cinema, più che un antitodo, è una droga. In ogni modo l'abuso può essere pericoloso. La vita di molti della mia generazione è stata distrutta o pesantemente colpita a causa del'impatto con le finzioni cinematografiche e per i valori che queste promuovevano. I valori difesi dai film erano estremamente semplici, vi si insegnava un insieme di moralismo e arrivismo, una sorta di avidità infantile verso il mondo. Siamo cresciuti pensando che la vita fosse questo."   
(W.A.) 

Il cinema di Woody Allen lo si ama o lo si odia. In toto, e senza vie di mezzo. E questo è un dato di fatto che potreste verificare empiricamente aprendo l'argomento Allen con chiunque abbia visto qualche suo film. C'è da chiedersi perché accada e nella citazione c'è in qualche modo la chiave di lettura della cosa.

E c'è anche la chiave di lettura di tutto il suo cinema, ma non se ne dedurrebbe nulla prendendo la citazione alla lettera. Essa, come tutta la sua cinematografia, è criptata, mascherata, duplicabile e cannibalizzabile per essere ripetutamente falsificata.

Se non si è inclini a farseli piacere, i film di Woody Allen potrebbero apparire a prima vista come sterili esercizi di stile. Espressioni di un vuoto, benché rigorosamente strutturato, discorso sul linguaggio e sul mezzo, privo però di reale sostanza.

E in buona misura il suo cinema è proprio questo. Però è anche un cinema del paradosso, un cinema dell'assurdo. La consapevole assurdità di una operazione (disperata in partenza) che mira ad analizzare, scomporre e decriptare media, linguaggi, società, cultura, animo umano e massimi sistemi mentre ci si è completamente immersi dentro. Il paradosso del Barone di Münchhausen che voleva portarsi fuori da una pozza di fango tirandosi su per i capelli.

Il cinema è finzione. Una finzione che racconta la vita o ci lascia con l'impressione di averci raccontato qualcosa della vita, inventando e dispiegando tecniche apposite per trarci in inganno e condurci per mano verso una conclusione filosofica o morale o anche solo emozionale. Il cinema di Allen segue il percorso inverso. Reimpiega e ricapitola tutte le tecniche altrui smontandole e reimpastandole con maestria falsificatoria, per non giungere a nessuna conclusione, se non quella della falsità e impossibilità di analisi del sistema stesso.

Difficilmente uscirete dal cinema dopo aver visto un suo film con l'impressione di sapere qualcosa di più sulla vita. E difficilmente riuscirete a decidere se è più falsa o mascherata la pellicola che avete appena visionato o la vita che vi aspetta fuori dalla sala.


Questo post mi serve da introduzione a un nuovo tipo di operazione che ho in mente di condurre, a piccoli passi, su questo blog mentre continuerò a scrivere altri post come quelli che avete già letto (bontà vostra!). Ossia stendere delle monografie, un post dopo l'altro, su autori di cinema o di fumetti, passando in rassegna una dopo l'altra (possibilmente in ordine cronologico) tutte le loro opere. Non mi aspetto di dire cose particolarmente originali, quanto piuttosto di mantenermi in un giusto equilibrio fra l'utilità informativa e il vaneggiamento a ruota libera di sensazioni personali.

Per quel che riguarda il cinema, Woody Allen non è l'unico filmaker che mi ispira una operazione del genere né attenderò di aver concluso con lui prima di approcciare qualche altro autore (sarebbe folle aspettare data la vastità della sua filmografia). Insomma, l'operazione che mi propongo è ambiziosa ma ho decisamente intenzione di portarla avanti o di perire nel tentativo. Il prossimo post che dedicherò a Allen sarà quindi una recensione di Ciao Pussycat (1965) che fu l'esordio al cinema di Allen, sebbene non ancora come regista ma solo in veste di sceneggiatore.

NB: l'immagine di apertura è tratta dal progetto grafico per la copertina del libro "Woody Allen: Guida a un uso responsabile" di Stefano Brenna.




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