Col precedente Green Lantern #67 (pima del reboot) si è conclusa la saga War of the Green Lanterns, trama macchinosa, a tratti anche puerile, in chiusura della quale Hal Jordan perdeva il suo anello smeraldo e tornava al ruolo di normalissimo cittadino della Terra privo di superpoteri.
L'arco narrativo era stato concepito per sfruttare la grande popolarità che Green Lantern avrebbe dovuto raggiungere con l'uscita del film, spingendo il lettore all'acquisto non solo dei fumetti dedicati al personaggio ma anche di altre collane DC Comics. Ragion per cui la trama War of the Green Lanterns allungava le sue propaggini narrative su tutto il resto del DC Universe.
Il gradimento del pubblico per il film però è stato modesto, i fumetti di Green Lantern non hanno beneficiato di impennate di vendite particolarmente esaltanti ed in DC Comics è stato messo in atto il piano B: l'operazione di reboot The New 52, appunto. E se l'azzeramento narrativo fosse stato operato anche per la testata dedicata a Green Lantern non ne sarebbe derivato nessun problema a livello di narrazione.
Hal Jordan perde l'anello (in Green Lantern #67) |
Da un punto di vista strettamente tecnico, invece, Green Lantern #1 è realmente un reboot epocale. Perché ora l'anello di Hal Jordan è in possesso di Sinistro, tornato (quasi) a pieno titolo a essere un membro del Corpo delle Lanterne Verdi.
E l'anello di Hal ora è in mano a Sinistro |
Mi sta scoppiando la testa, ma ho reso l'idea perciò meglio passare a parlare dell'albo in sé piuttosto che delle premesse. A parte la novità di avere Sinistro di nuovo nel Corpo (ma non per questo meno malintenzionato e rancoroso nei confronti dei Guardiani di Oa) e Hal Jordan ridotto a umano semplice, l'impatto dell'albo è quello che avrebbe un numero qualunque. Non si avverte nessun brivido particolare nel leggerlo.
Geoff Johns si barcamena con un certo mestiere fra le pasticciate esigenze imposte dalla casa e riesce a consegnare comunque un albo di lettura leggera e piacevole. Ma niente di speciale per essere un numero #1, anche perché il non esaltante disegnatore della serie Doug Mahnke sembra qui più frettoloso di quanto lo fosse nel precedente arco narrativo, ed è anche malamente accompagnato dalla colorazione piuttosto sciapita di David Baron.
L'albo però ha venduto bene ugualmente, circostanza che si presterebbe come occasione per discutere se i fumetti seriali oggi siano più il frutto del lavoro creativo di scrittori e artisti o piuttosto solo il risultato di politiche aziendali del tutto meccaniche ma ipercollaudate. Ma questa, purtroppo, è un'altra storia.
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